ILLEGITTIMA L'INSTALLAZIONE DELL'ASCENSORE SE PRECLUDE O LIMITA IL DIRITTO DI GODIMENTO DEI BENI COMUNI.
Corte di Cassazione II Sez. Civile, sentenza n.24235 anno 2016
ILLEGITTIMA L'INSTALLAZIONE DELL'ASCENSORE SE PRECLUDE O LIMITA IL DIRITTO DI GODIMENTO DEI BENI COMUNI.
Corte di Cassazione II Sez. Civile, sentenza n.24235 anno 2016
Come afferma la Corte di Cassazione stessa nei motivi della decisione,
occorre premettere che in tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all'art. 1 primo comma del d.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136 secondo e terzo comma c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge n. 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma c.c. (Cass. n. 14384/04).
Nel caso in esame l'assemblea di condominio deliberava l'installazione di un'ascensore all'interno dell'androne delle scale.
Assumendosi proprietari esclusivi di un'area retrostante e dei box auto ivi esistenti, e lamentando che la realizzazione dell'ascensore avrebbe impedito loro l'accesso all'area anzi detta e ai box, due comproprietari di unità singole al piano terra dell'edificio impugnavano detta delibera innanzi al Tribunale di Taranto.
Nel resistere in giudizio il condominio eccepiva la prescrizione della servitù di passo carraio, eccezione che l'adito Tribunale di Taranto accoglieva rigettando così la domanda.
L'impugnazione proposta avverso questa sentenza dai due comproprietari veniva respinta anche dalla Corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto.
Osservava la Corte di Appello, che l'installazione dell'ascensore non impediva l'accesso degli appellanti all'area di loro proprietà, lasciando libero a tal fine uno spazio di m. 1,12. Circa la dedotta violazione del godimento dei condomini appellanti, quale limite alle innovazioni di cui al 2° comma dell'art. 1120 c.c., aggiungeva che i testi escussi avevano confermato che i due comproprietari non erano mai entrati con autoveicoli all'interno dell'area di loro proprietà e che i manufatti ivi esistenti non erano mai stati utilizzati quali box auto.
Solo uno dei due comproprietari proponeva ricorso in cassazione affidato a due motivi, di cui solo il primo che di seguito riportiamo veniva accolto.
Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 1120, comma 2 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 220/12), in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che l'innovazione in oggetto viola l'art. 1120, 2° comma c.c., perché lo spazio di mq. 1,12 lasciato libero per il passaggio menoma gravemente il godimento della stessa area comune e degli immobili di sua proprietà.
Ciò si desume dal fatto che tale misura è inferiore a quella minima di m. 1,20 fissata dall'art. 4.1.10 del D.M. n. 236/89, relativamente al superamento delle barriere architettoniche, per la lunghezza delle rampe di scale, e impedisce il passaggio contemporaneo di due persone e quello di una barella con un'inclinazione massima del 15% lungo l'asse longitudinale. 1.1. - Il motivo è fondato.
Occorre premettere che in tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all'art. 1 primo comma del d.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136 secondo e terzo comma c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge n. 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma c.c. (Cass. n. 14384/04).
La condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma secondo, c.c., rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. n. 20639/05, che in applicazione di tale principio ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture). Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, come appunto quelle che dispongano l'installazione di un ascensore, non derogano all'art. 1120, 2° comma c.c. (vecchio testo), ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall'art. 1136, 5° comma c.c., richiamato dal 1° comma dell'art. 1120 c.c. E di tali principi la giurisprudenza di questa Corte ha fatto applicazione, segnatamente, anche nell'ipotesi dell'installazione di un ascensore (Cass. n. 12930/12), ancorché volto a favorire le esigenze di condomini portatori di handicap, ove detta innovazione sia lesiva dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (Cass. n. 6109/94), ed ove l'installazione renda talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino (Cass.n.28920/11).
Di tali principi di diritto la sentenza impugnata mostra di aver operato una falsa applicazione, lì dove, nel valutare se l'innovazione in oggetto avesse compromesso il godimento delle proprietà individuali degli attori, ha escluso ogni lesione sulla base dell'uso che negli anni questi ne avevano fatto, mentre l'apprezzamento avrebbe dovuto essere operato a stregua della natura e della destinazione economica dei beni stessi. In particolare, la circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, che gli eredi Comegna non fossero mai entrati con autoveicoli nell'area interna del palazzo e che non avessero mai utilizzato i manufatti di loro proprietà per il ricovero di autovetture, è del tutto priva di significato al fine di valutare la compromissione della facoltà di godimento dei beni di proprietà esclusiva, facoltà che, essendo inerente al contenuto del diritto di proprietà, non si estingue per non uso.
Riportiamo di seguito la sentenza n.24235/2016, Corte di Cassazione II Sez. Civile
SENTENZA
sul ricorso 213-2012 proposto da: - omissis - elettivamente domiciliato in omissis - presso lo studio dell'avvocato -omissis-, rappresentato e difeso dall'avvocato -omissis-;
- ricorrente -
contro - omissis-, elettivamente domiciliato in -omissis-, presso lo studio dell'avvocato -omissis-, rappresentato e difeso dall'avvocato -omissis-;
Civile Sent. Sez. 2 Num. 24235 Anno 2016
Presidente: MIGLIUCCI EMILIO
Relatore: MANNA FELICE
Data pubblicazione: 29/11/2016 Corte di Cassazione - copia non ufficiale
controricorrente - avverso la sentenza n. 120/2011 della CORTE D'APPELLO DI LECCE sezione distaccata di TARANTO, depositata il 05/04/2011; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell'assemblea del 13.10.1999 il condominio di – omissis -, Taranto, deliberava l'installazione di un ascensore all'interno dell'androne delle scale. Assumendosi proprietari esclusivi di un'area retrostante e dei box auto ivi esistenti, e lamentando che la realizzazione dell'ascensore avrebbe impedito loro l'accesso all'area anzi detta e ai box, - omissis -, comproprietari di unità singole al piano terra dell'edificio quali eredi di Luciano Comegna, impugnavano detta delibera innanzi al Tribunale di Taranto.
Nel resistere in giudizio il condominio eccepiva la prescrizione della servitù di passo carraio, eccezione che l'adito Tribunale di Taranto accoglieva rigettando così la domanda. L'impugnazione proposta avverso detta sentenza da -omissis-, anche quali eredi -omissis-, nel frattempo deceduta, era respinta dalla Corte d'appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto. Osservava detta Corte, per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, che l'installazione dell'ascensore non impediva l'accesso degli appellanti all'area di loro proprietà, lasciando libero a tal fine uno spazio di m. 1,12. Circa la dedotta violazione del godimento dei condomini appellanti, quale limite alle innovazioni di cui al 2° comma dell'art. 1120 c.c., aggiungeva che i testi escussi avevano confermato che gli eredi – omissis -non erano mai entrati con autoveicoli all'interno dell'area di loro proprietà e che i manufatti ivi esistenti non erano mai stati utilizzati quali box auto.
Per la cassazione di tale pronuncia il solo - omissis- propone ricorso, affidato a due motivi, cui ha fatto seguito il deposito di memoria.
Resiste con controricorso il condominio di – omissis-
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 1120, comma 2 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 220/12), in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che l'innovazione in oggetto viola l'art. 1120, 2° comma c.c., perché lo spazio di mq. 1,12 lasciato libero per il passaggio menoma gravemente il godimento della stessa area comune e degli immobili di sua proprietà. Ciò Si desume dal fatto che tale misura è inferiore a quella minima di m. 1,20 fissata dall'art. 4.1.10 del D.M. n. 236/89, relativamente al superamento delle barriere architettoniche, per la lunghezza delle rampe di scale, e impedisce il passaggio contemporaneo di due persone e quello di una barella con un'inclinazione massima del 15% lungo l'asse longitudinale. 1.1. - Il motivo è fondato. Occorre premettere che in tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge n. 118/1971 e all'art. 1 primo comma del d.P.R. n. 384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge n. 13/89, è approvata dall'assemblea con la maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136 secondo e terzo comma c.c.; tutto ciò ferma rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge n. 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120 secondo comma e 1121 terzo comma c.c. (Cass. n. 14384/04).
La condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma secondo, c.c., rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. n. 20639/05, che in applicazione di tale principio ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture).
Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, come appunto quelle che dispongano l'installazione di un ascensore, non derogano all'art. 1120, 2° comma c.c. (vecchio testo), ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall'art. 1136, 5° comma c.c., richiamato dal 1° comma dell'art. 1120 c.c. E di tali principi la giurisprudenza di questa Corte ha fatto applicazione, segnatamente, anche nell'ipotesi dell'installazione di un ascensore (Cass. n. 12930/12), ancorché volto a favorire le esigenze di condomini portatori di handicap, ove detta innovazione sia lesiva dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua proprietà esclusiva, indipendentemente da qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (Cass. n. 6109/94), ed ove l'installazione renda talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino (Cass. n. 28920/11).
- Di tali principi di diritto la sentenza impugnata mostra di aver operato una falsa applicazione, lì dove, nel valutare se l'innovazione in oggetto avesse compromesso il godimento delle proprietà individuali degli attori, ha escluso ogni lesione sulla base dell'uso che negli anni questi ne avevano fatto, mentre l'apprezzamento avrebbe dovuto essere operato a stregua della natura e della destinazione economica dei beni stessi.
In particolare, la circostanza, valorizzata dalla Corte territoriale, che gli eredi Comegna non fossero mai entrati con autoveicoli nell'area interna del palazzo e che non avessero mai utilizzato i manufatti di loro proprietà per il ricovero di autovetture, è del tutto priva di significato al fine di valutare la compromissione della facoltà di godimento dei beni di proprietà esclusiva, facoltà che, essendo inerente al contenuto del diritto di proprietà, non si estingue per non uso.
2. - Il secondo motivo espone la violazione o falsa applicazione degli artt. 1027, 1073, 1102, 1120, 2° comma, e 1362 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente sostiene che l'accesso carrabile al proprio cortile attraverso l'androne condominiale rientra tra le destinazioni normali della cosa, e pertanto "non può pregiudicare o menomare in alcun modo la normale fruizione degli stessi da parte degli altri condomini per accedere ai loro rispettivi appartamenti siti ai piani superiori, con la quale è perfettamente compatibile, di modo che deve escludersi che il transito carrabile attraverso l'androne a favore dell'odierno ricorrente sia stato previsto a titolo di servitù". Da cui l'imprescrittibilità dell'azione esperita. 2.1. -11 motivo è inammissibile. Né dalla sentenza impugnata né dal ricorso si ricava che sia stata trattata e decisa anche la questione della natura del passaggio (iure comproprietatis o iure servitutis) attraverso l'androne condominiale (anche se la sentenza d'appello, ad altri fini come s'è detto, ha ritenuto rilevante che gli appellanti non fossero mai transitati con autoveicoli attraverso l'androne per raggiungere i box di loro proprietà esclusiva). La controversia, infatti, ha avuto ad oggetto solo la legittimità della delibera impugnata.
3. - In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese di cassazione, ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce, che nel rivalutare il merito della domanda si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati.
P. Q. M.
La Corte accoglie il primo motivo, respinto il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6.7.2016.
Il Presidente dr. Emilio Migliucci
Categoria Condominio