DETERMINAZIONE E COMPUTO DELLO SPAZIO INDIVIDUALE MINIMO INTRAMURARIO DA ASSICURARE AD OGNI DETENUTO.

Corte di Cassazione I° Sez. Penale Sentenza n. 52819/2016



La Corte di Cassazione, I° Sez. Penale, con la sentenza n. 52819/2016 ha affermato che ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario da assicurare ad ogni detenuto, (pari o superiore a tre metri quadrati), affinchè lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti stabilito dall'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU in data 8 gennaio 2013 nel caso Omissis- vs - Italia, dalla superficie lorda della cella devono essere detratte l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili.

Nel caso in esame, sottoposto alla Corte di Cassazione, Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia con ordinanza n.890 del 2014 respingeva il reclamo proposto dal detenuto in tema di tutela inibitoria e risarcitoria contro la decisione emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Spoleto.
Il Tribunale di Sorveglianza ha esaminato, in via prioritaria, la questione dello spazio vitale minimo interno alla camera detentiva, stante la denunzia di sovraffollamento posta a base del reclamo.
In tale contesto, il Tribunale richiamava le recenti statuizioni della CEDU e si poneva il problema - a fronte dei dati istruttori comunicati dalla Direzione dell'istituto — di stabilire la metodologia di calcolo dello spazio vitale in cella collettiva, partendo dal presupposto di una assenza di indicazioni specifiche da parte della Corte Europea sulle modalità di computo.
Il Tribunale di Sorveglianza computava quindi la superficie utile riferita al singolo occupante conteggiando e includendo le dimensioni del letto. Ciò in rapporto alla considerazione per cui, anche in ragione della ampia fascia oraria di socialità a celle aperte (in concreto fruibile da parte dei reclusi) le ore trascorse alI'intemo della stanza sono dedicate in larga misura ad attività sedentarie, la qual cosa evoca la centralità del letto quale superficie di appoggio, pertanto inidonea a limitare lo spazio vitale.
In aderenza a tale criterio di misurazione il Tribunale affermava che il reclamante aveva avuto a disposizione, presso la Casa di Reclusione di Spoleto ed in cella collettiva, in un primo periodo mq. 4.64 ed in un secondo periodo (che comprende l'attualità) mq. 3.75 e quindi riteneva infondata la denuncia del detenuto di trattamento inumano o degradante, non essendosi mai verificata una offerta di spazio minimo inferiore ai tre metri quadrati.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso per cassazione deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice ed evidenziando come la valutazione della carenza di spazio minimo vitale in cella collettiva - secondo gli arresti della CEDU - non può essere operata di per sè ma deve tener conto di altri fattori concorrenti. Si evidenzia in particolare come I'auspicio formulato dal CPT Comitato prevenzione della tortura o dei trattamenti inumani o degradanti) era teso alla disponibilità di almeno quattro metri quadrati individuali in cella collettiva.

La Corte di Cassaione I° sez. pen., ritiene il ricorso fondato.
Per la Corte è lo stesso andamento motivazionale del provvedimento impugnato, che correttamente ha esplicitato i criteri di misurazione, a rendere necessaria la precisazione, posto che la «quota» dei tre metri quadrati di spazio vitale è quella al di sotto del quale si verifica, secondo le linee interpretative esposte dalla CEDU :
a) I’ esistenza di per se della violazione dei contenuti prescrittivi dell'art. 3 Conv. Eur., senza possibilità di compensazioni derivanti dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi comuni esterni alla cella;
b) la forte presunzione di trattamento inumano o degradante, compensabile - eventualmente - con la considerazione del tempo ristretto di permanenza in tale ambiente e con l'esistenza di una complessiva concorrenza di aspetti positivi del trattamento individuale.

L'unico reale aspetto di novità — che caratterizza la presente decisione - riguarda la considerazione o meno in termini di «ingombro» dello spazio occupato nella camera detentiva dal letto, che per comune esperienza è tipologicamente un letto a castello (la camera detentiva non è singola) dal peso consistente , visto che anche il Tribunale escludeva dal computo della superficie minima individuale in cella collettiva, sia la parte destinata ai servizi igienici (non solo ingombrante ma destinata a funzioni diverse da quelle correlate ai movimento), che quella destinata ad arredi fissi (armadietti o mensole sporgenti).
Non vi è dubbio, a parere del Collegio, che il letto a castello vada considerato come un «ingombro» idoneo a restringere per la sua quota di incidenza, lo ‘spazio vitale minimo‘ all'interno della cella, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato. Come si è detto, per spazio vitale minimo in cella collettiva deve intendersi quello in cui i soggetti reclusi hanno la possibilità di muoversi. Ciò, pacificamente, non accade sia in quella ‘parte’ di cella occupata dagli arredi fissi ingombranti (e dal bagno) che in quella occupata dal letto a castello.
Il provvedimento impugnato, nel proporre lettura diversa, considera superficie utile quella occupata dal "letto" per finalità di "riposo" o "attività sedentaria" che non soddisfano la primaria esigenza di movimento e che pertanto non possono farsi rientrare nella nozione – così come ricostruita – di spazio minimo individuale. Da ciò deriva la necessità di affermare il seguente principio di diritto: per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non solo lo spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche quello occupato dal letto.
L' indicazione funzionale dello spazio minimo individuale come spazio destinato al movimento è tale da comportare, ad avviso della Corte, la necessità di escludere dal computo quelle superfici occupate da strutture tendenzialmente fisse - tra cui il letto - mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili.
Per questi motivi la Corte ha annullato l'ordinanza impugnata e rinviato per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Perugia.

DI SEGUITO SI RIPORTA LA SENTENZA N. 52819/2016 DELLA CORTE DI CASSAZIONE, I° Sez. Penale.


IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia (ord. 890 del 2014) in data 2 ottobre 2014 ha respinto il reclamo proposto da – omissis - in tema di tutela inibitoria e risarcitoria ex art. 35 bis e ter ord.pen., avverso la decisione emessa dal Magistrato di Sorveglianza di Spoleto in data 25.11.2013.

1.1 L'azione sostenuta dal detenuto in secondo grado, per come risulta dal provvedimento impugnato, ha carattere essenzialmente Inibitorio (rimozione degli ostacoli alla fruizione dei diritti soggettivi) pur se in prima istanza – innanzi al Magistrato di Sorveglianza - era stata formulata congiunta istanza risarcitoria, rientrante nella previsione di legge di cui all'attuale art. 35 ter ord.pen.

1.2 Il Tribunale di Sorveglianza esamina, in via prioritaria, la questione dello spazio vitale minimo interno alla camera detentiva, stante la denunzia di sovraffollamento posta a base del reclamo (in una con altri aspetti accessori, anch'essi valutati).

In tale contesto, il Tribunale richiama i recenti arresti della CEDU e si pone il problema - a fronte dei dati istruttori comunicati dalla Direzione dell'istituto — di stabilire la metodologia di calcolo dello spazio vitale in cella collettiva, partendo dal presupposto di una assenza di indicazioni specifiche da parte della Corte Europea sulle modalità di computo.

1.3 Va pertanto rievocato il contenuto del provvedimento, nei sensi che seguono:
a) la superficie utile riferita al singolo occupante deve essere conteggiata includendo le dimensioni del letto. Ciò in rapporto alla considerazione per cui, anche in ragione della ampia fascia oraria di socialità a celle aperte (in concreto fruibile da parte dei reclusi) le ore trascorse alI'intemo della stanza sono dedicate in larga misura ad attività sedentarie, la qual cosa evoca la centralità del letto quale superficie di appoggio, pertanto inidonea a limitare lo spazio vitale. Va altresì ritenuto irrilevante l'ingombro derivante da tavolini o sedie;
b) vanno invece esclusi dal computo della superficie utile, oltre allo spazio dedicato al bagno (pur se annesso alla stanza) i manufatti fissi poggianti sul pavimento e le mensole o i pensili posti ad una altezza inferiore a mt. 1,70, posto che determinano una supericie di «ingombro» suscettibile di togliere spazio a chi si trova ad occupare la stanza detentiva.

1.4 In aderenza a tale criterio di misurazione il Tribunale espone che il reclamante ha avuto a disposizione, presso la Casa di Reclusione di Spoleto ed in cella collettiva, in un primo periodo mq. 4.64 ed in un secondo periodo (che comprende l'attualità) mq. 3.75.
Ciò porta a ritenere infondata la denunzia di trattamento inumano o degradante, non essendosi mai verificata una offerta di spazio minimo inferiore ai tre metri quadrati. Peraltro, Ii dove lo spazio minimo si è collocato tra i tre ed i quattro metri quadrati (nei secondo periodo) la esistenza di una buona offerta complessiva (sezione aperta con ampia fascia oraria di socialità) esclude, parimenti, la violazione dei parametri derivanti dalla interpretazione dell'art. 3 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

1.5 Viene altresì affermato che l'assenza di acqua calda nella cella è compensata dalla possibilità di fruire della doccia esterna (con acqua calda) giornalmente, e che i problemi di illuminazione, evidenziati nel reclamo, risultano oggetto di intervento teso a ripristinare la funzionalità degli Impianti.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - con personale sottoscrizione - omissis - deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice.

2.1 Nei ricorso si evidenzia come la valutazione della carenza di spazio minimo vitale in cella collettiva - secondo gli arresti della CEDU - non può essere operata di per sè ma deve tener conto di altri fattori concorrenti. Si evidenzia in particolare come I'auspicio formulato dal CPT Comitato prevenzione della tortura o dei trattamenti inumani o degradanti) era teso alla disponibilità di almeno quattro metri quadrati individuali in cella collettiva. Si contesta la funzione di riequilibrio assegnata alle condizioni concorrenti, posto che l'acqua calda è presente solo nelle docce esterne, in numero di due per tutta la sezione, e il riscaldamento invernale della ceiia è del tutto insufficiente.

3. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono.

3.1 Appare preliminare ad ogni statuizione - circa la sussistenza o meno degli estremi dei trattamento inumano o degradante ed in ordine aila congruità dell'assetto interpretativo e motivazionale esposto dal Tribunale - la verifica delle modalità di computo dello spazio minimo vitaie per i'individuo posto in ceiia coilettiva.

3.2 E‘ lo stesso andamento motivazionale del provvedimento impugnato, che correttamente ha esplicitato i criteri di misurazione, a rendere necessaria la precisazione, posto che la «quota» dei tre metri quadrati di spazio vitale è quella al di sotto del quale si verifica, secondo le linee interpretative esposte dalla CEDU :
a) I’ esistenza di per se della violazione dei contenuti prescrittivi dell'art. 3 Conv. Eur., senza possibilità di compensazioni derivanti dalla bontà della residua offerta di servizi o di spazi comuni esterni alla cella (in tal senso, tra le altre, le decisioni – omissis - contro Italia del 6.11.2009 e – omissis - contro Italia del 8.1.2013);
b) la forte presunzione di trattamento inumano o degradante, compensabile - eventualmente - con la considerazione del tempo ristretto di permanenza in tale ambiente e con l'esistenza di una complessiva concorrenza di aspetti positivi del trattamento individuale secondo la decisione – omissis - contro Croazia del 12 marzo 2015 [tale è da ritenersi l'orientamento prevalente in sede CEDU, essendo intervenuta - in epoca successiva alla camera di consiglio relativa alla presente decisione -, la sentenza della Grande Camera nel citato caso – omissis- contro Croazia, in data 20 ottobre 2016, della quale il Collegio terrà conto al fine di meglio illustrare le coordinate interpretative sul tema trattato].

3.3 Questa Corte ha già fornito, in alcune decisioni, indicazioni sulla modalità di computo dello spazio minimo individuale in cella collettiva, secondo le coordinate interpretative estraibili dalla decisione CEDU nel caso – omissis - ed altri contro Italia.

3.4 In particolare, nel respingere il ricorso per cassazione proposto dal Pubblico Ministero nel caso – omissis - (sentenza num. 5728 del 2014), caratterizzato dalla evenienza rappresentata dalla scelta del Magistrato di Sorveglianza di detrarre dalla superficie utile l'ingombro del mobilio, è stato affermato, tra l'altro, che: nella specie, il ricorrente censura che il giudice a quo non si sarebbe attenuto al canone fissato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, in particolare con la sentenza pilota dell'8 gennaio 2013, - omissis - , circa la determinazione dello spazio minimo intramurario da assicurare a ogni detenuto perché lo stato non incorra nella violazione del divieto dei trattamenti inumani e degradanti, stabilito dall'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con L. 4 agosto 1955, n. 848. 4.3 - Nel sancire il divieto (della tortura,) delle pene e dei trattamenti inumani o degradanti, l'art. 3 della Convenzione cit. non ha tipizzato le condotte lntegratrici della violazione del divieto. Analogamente neppure l'art. 27 Cost., comma 2, stabilendo che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità", ha stabilito alcuno specifico canone per la determinazione dei trattamenti vietati.
Con particolare riferimento agli spazi intramurari l'articolo 6 dell'Ordinamento penitenziario prescrive, al comma primo, che "i locali nei quali si svolge la vita dei detenuti devono essere di ampiezza sufficiente..." e, al comma secondo, che "i locali destinati ai pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti".
La corrispondente disposizione dell'art. 6 del Regolamento penitenziario non contiene alcuno stardard o parametro metrico in ordine alle dimensioni dei locali destinati ai soggiorno dei detenuti e delle celle di pernottamento [..] Anche alla luce di criteri elaborati dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell‘ uomo, mediante plurimi arresti, ha fissato canoni particolari in funzione di specifici standard dimensionali in ordine alla superficie degli spazi intramurari. [..] Adito dalla doglianza dei detenuto, di sottoposizione a trattamento inumano o degradante, per essere ristretto in ambienti carcerari di ampiezza così esigua da non soddisfare i requisiti minimi della abitabilità intramuraria fissati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, il giudice del reclamo è chiamato ad accertare e valutare la condizione di fatto della ‘ carcerazione; e tale valutazione è operata esclusivamente alla stregua dei canoni e degli standard giurisprudenziali, in difetto di alcuna disposizione normativa e tampoco legislativa o codicistica. Sicché lo scrutinio compiuto sulla base della regola di giudizio di matrice giurisprudenziale è sindacabile, sotto il profilo della violazione di legge, esclusivamente in relazione al vizio della motivazione ai sensi dell'art. 125 c.p.p., comma 3, in relazione all'art. 69 0rd. pen., comma 6 (come integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 26 dell'11 febbraio 1999) e in relazione all'art. 71 ter dell'Ordinamento cit., e, cioè, sotto il profilo della mancanza di motivazione. Tale vizio è pacificamente fuori discussione nel caso in esame.

Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente [..] delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio dl legittimità. E per incidens — deve osservarsi che la inammissibilità del ricorso preclude il positivo vaglio della fondatezza della valutazione operata dal magistrato di sorveglianza il quale si è esattamente uniformato al criterio stabilito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella citata sentenza pilota, avendo scomputato dalla superficie lorda della cella del reclamante lo spazio occupato dall'arredo fisso dell'armadio allocato nel vano; mentre non è condivisibile l'obiezione dei Pubblico Ministero concludente, fondata sulla mancata specificazione della superficie di ingombro da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo nell'arresto in parola; gli è che, avendo quel giudice accertato, nel caso scrutinato, che la superficie della cella era pari al limite minimo di tre metri quadrati, sarebbe stata affatto superflua e irrilevante la determinazione dello spazio occupato dal mobilio, in quanto necessariamente l'ingombro - a prescindere dalla ampiezza della superficie occupata- comportava indefettlbllmente l'inosservanza dello standard dei tre metri quadrati.

3.5 Con detta decisione, sia pure attraverso l'utilizzo di una voluta precisazione non strettamente necessaria, si è dunque fornita conferma alla opzione interpretativa che intende i tre metri quadrati – più volte indicati come criterio di riferimento nelle decisioni emesse dalla CEDU - come spazio utile al fine di garantire il «movimento» del soggetto recluso nello spazio detentiva, il che esclude di poter inglobare nel computo gli arredi fissi, in ragione dell'ingombro che ne deriva. Si tratta di una logica considerazione, correlata alla funzione che la nozione dello «spazio minimo vitale» assolve nel quadro della complessa ricostruzione dei parametri di un trattamento carcerario, affinché lo stesso possa essere ritenuto conforme ai contenuti dell'art. 3 Conv. Eur. .

3.6 Circa tale assetto interpretativo, teso ad escludere dal computo della superficie minima individuale in cella collettiva sia la parte destinata ai servizi igienici (non solo ingombrante ma destinata a funzioni diverse da quelle correlate ai movimento) che quella destinata ad arredi fissi (armadietti o mensole sporgenti) non pare sussistere alcun contrasto interno in sede di legittimità, essendo gli ulteriori arresti sul tema (tra cui Sez. VII del 18.11.2015 ric. -omissis-) condizionati, nei loro esiti, dalle prospettazioni coltivate dal ricorrenti nei singoli atti di ricorso.

3.7 Ciò posto, l'unico reale aspetto di novità — che caratterizza la presente decisione - riguarda la considerazione o meno in termini di «ingombro» dello spazio occupato nella camera detentiva dal letto, che per comune esperienza è tipologicamente un letto a castello (la camera detentiva non è singola) dal peso consistente.
Non vi è dubbio, a parere del Collegio, che il letto a castello vada considerato come un «ingombro» idoneo a restringere per la sua quota dl incidenza, lo "spazio vitale minimo" all'interno della cella, contrariamente a quanto ritenuto nel provvedimento impugnato. Come si è detto, per spazio vitale minimo in cella collettiva deve intendersi quello in cui i soggetti reclusi hanno la possibilità di muoversi. Ciò, pacificamente, non accade sia in quella ‘parte’ di cella occupata dagli arredi fissi ingombranti (e dal bagno) che in quella occupata dal letto a castello, non essendovi razionale giustificazione della proposta (in sede di merito) diversificazione.
Il provvedimento impugnato, nel proporre lettura diversa, considera superficie utile quella occupata dal "letto" per finalità di "riposo" o "attività sedentaria" che non soddisfano la primaria esigenza di movimento e che pertanto non possono farsi rientrare nella nozione – così come ricostruita – di spazio minimo individuale – Anche il riferimento al fatto che nel luogo di detenzione viene assicurata una consistente permanenza al di fuori della camera detentiva – contenuto nel provvedimento impugnato – non riguarda, in realtà la identificazione dello minimo individuale (che va computato in ragione della libertà di movimento interna alla cella) ma concerne il diverso versante del possibile riequilibrio (secondo le linee esposte dalla CEDU nella decisione .omissis) lì dove lo «spazio minimo» sia inferiore alla quota—limite dei tre metri quadrati.

3.8 Da ciò deriva, in rapporto alle coordinate interpretative necessarie ad orientare il giudizio di rinvio, la necessità di affermare il seguente principio di diritto : per spazio minimo individuale in cella collettiva va intesa la superficie della camera detentiva fruibile dal singolo detenuto ed idonea al movimento, il che comporta la necessità di detrarre dalla complessiva superficie non solo lo spazio destinato ai servizi igienici e quello occupato dagli arredi fissi ma anche quello occupato dal letto.

4. Tale principio, peraltro, appare conforme alla stessa evoluzione della giurisprudenza CEDU, ferma restando la necessità di tener conto del fatto che con la decisione emessa in data 20 ottobre 2016 la Grande Camera ha convalidato l'opzione interpretativa, circa le conseguenze della disponibilità di uno spazio minimo inferiore ai 3 mq., seguita nell'arresto -omissis - contro Croazia del 12 manzo 2015 (forte presunzione di trattamento degradante, compensabiie con la brevità della permanenza in tale condizione, l'esistenza di sufficente libertà di circolazione fuori dalla cella, l'esistenza di adeguata offerta di attività esterne alla cella, le buone condizioni complessive dell'istituto e l'assenza di altri aspetti negativi del trattamento in rapporto a condizioni igieniche e servizi forniti).

4.1 In effetti, quanto alle modalità di computo dello spazio minimo in cella collettiva, la decisione emessa dalla Grande Camera non esprime una posizione specifica sul tema del letto ma al contempo afferma con chiarezza che per tale va inteso lo spazio in cui il soggetto detenuto abbia la possibilità di muoversi, alI'intemo della cella.

4.2 In particolare, neil'esporre le considerazioni sul tema ai paragrafi 109 e seguenti
la Grande Camera ha affermato che :

109. La Cour rappeile que, sans qu'elle soit formeiiement tenue de suivre ses arrèts antérieurs, il est dans l’intérèt de la sécurité juridique, de la prévisibiiité et de Végaiité devant la Ioi qu'elle ne s’écarte pas sans motif valabie de ses propres précédents (voir, par exempie, omissis - [GC], n° 28957/95, é 74, CEDH 2002-VI, omissis - c. Italia (n° 2) [GC], n° 10249/03, 5 104, 17 septembre 2009, et – omissis - c. Turqule [GC], n° 27396/06, 5 50, 29 juin 2012). 110. Elle ne voit pas de raison de s’écarter de I'approche qu'elle a adoptée dans les arrèts pilotes et les arréts de principe cités ci-dessus et dans l'arrèt de Grande Chambre Idalov (paragraphe 107 ci-dessus). Elle confirme donc que Vexigence de 3 m’ de surface au sol par détenu en ceilule collectìve doit demeurer la norme minimale pertinente aux fins de l'appréciation des conditions de détention au regard de l'article 3 de la Convention (paragraphes 124-128 ci-dessous).
111. En ce qui concerne les normes élaborées par d'autres organes internationaux, dont le CPT, la Cour rappelle qu'elle a décidé de ne pas les considérer comme un argument déterminant aux fins de son appréciation au regard de l’artide 3 (voir, par exemple, - omissis -, précité, 5 131, - omissis - et autres, précité, 55 144-145, - omissis - et autres, précité, 55 68 et 76, ainsi que – omissis -, précité, 5 43, Tellissi c. ltalie (déc.), n° 15434/11, 5 53, 5 mars 2013, et G.C. c. Italie, n° 73869/10, 5 81, 22 avril 2014). Il en va de même des normes nationales applicables en la matière: elles peuvent éclairer la décision de la Cour dans un cas donné (- omissis ., précité, 5 123), mais non revêtir un caractère déterminant pour sa conclusion sur le terrain de |’article3 (voir, par exemple, omissis -‘, précité, 5 59, et – omissis - et autres, précité, 5 229).
112. La principale raison de la réticence de la Cour à considérer les normes du CPT en matière d'espace disponible comme déterminantes pour sa conclusion sur le terrain de l'article 3 tient à ce que dans le cadre de son appréciation au regard de cette disposition, elle doit tenir compte de toutes les circonstances pertinentes de la cause, tandis que les autres organes internationaux tels que le CPT élaborent des normes générales en la matière à des fins de prévention des mauvais traitements (paragraphe 47 ci-dessus, voir aussi omissis-, précité, 5 92, et omissis -, précité, 5 63). De même, les normes nationales relatives à l'espace personnel varient grandement et constituent des exigences générales en matière d'hébergement adéquat dans un système pénitentiaire donné (paragraphes 57 et 61 ci-dessus).
113. De plus, la Cour joue un rôle conceptuellement différent de celui confié au 9:1 CPT, ce que celui-ci a lui-même reconnu. Le CPT n'a pas pour tâche de dire si des faits donnés sont constitutifs de peines ou de traitements inhumains ou dégradants au sens de l'article 3 (paragraphe 52 ci-dessus). Il agit principalement en amont dans un but de prévention, démarche qui tend par sa nature mème vers un degré de protection plus élevé que celui qu’applique la Cour lorsqu'elle statue sur les conditions de détention d'un requérant (voir, au paragraphe 47 ci-dessus, le paragraphe 51 du 1°’ rapport général d’activités du CPU. Le CPT joue un ròle préventlf tandis que la Cour est chargée de l’application judiciaire à des cas individuels de l'interdiction absolue de la torture et des traitements înhumains ou dégradants posée à l'article 3 de la Conventìon (paragraphe 46 ci-dessus). La Cour tient néanmoins à souligner qu'elle demeure attentive aux normes élaborées par le CPT et que, nonobstant cette différence de fonctions, elle examine soigneusement les cas où les conditions de détention ne respectent pas la norme de 4 m‘ fixée par lui (paragraphe 106 ci-dessus).
114. Enfin, la Cour juge important d’expliquer plus précisément la méthode qu'elle applique aux fins de son examen sous I'angle de l'article 3 pour calculer la surface minimale de l'espace personnel devant ètre alloué à un détenu hébergé en cellule collecflve. Elle considère, s'appuyant en cela sur la méthode du CPT, que dans ce calcul, la surface totale de la cellule ne doit pas comprendre celle des sanitaires (paragraphe 51 ci-dessus). En revanche, le calcul de la surface disponible dans la cellule doit inclure l'espace occupé par les meubles. Uimportant est de déterminer si les détenus avaient la possibillté de se mouvoir normalement dans la cellule (voir. par exemple, - omissis et autres, précité, 55 147-148, et – omissis - , précité, 5 34).

109. La Corte ricorda che, senza che essa sia formalmente tenuta a seguire i suoi arresti anteriori, è nell'interesse della sicurezza giuridica, della prevedibilità e dell'uguaglianza davanti alla legge che ella non si discosti senza motivo valido dai suoi propri precedenti (vedere, per esempio, omissi - [GC], n° 28957/95, 5 74, CEDH 2002-VI, omissis - c. Italie (n° 2) [GC], n° 10249/03, g 104, 17 settembre 2009, e – omissis - c. Turquie [cc], n° 27396106, 5 50, 29 juin 2012). 110. Essa non vede ragioni per scostarsi dall'approccio adottato negli arresti pilota ed in quelli di principio citati in precedenza ed all'arresto della Grande Carnera Idalov (paragrafo 107 che precede). Essa conferma dunque che l'esigenza dei 3 m2 di superficie ai suolo per detenuto in cella collettiva deve restare la norma minima pertinente ai fine di apprezzare le condizioni della detenzione sotto l'aspetto dell'articolo 3 della Con\venzione (paragrafi 124-128 precedenti).
110. Elle ne voit pas de raison de s'ècarter de l'approche qu'elle a adoptèe dans les arrèts de principe citès ci-dessus et dans l'arrèt de Grande Chambre Idalov..
111. Per ciò che concerne le norme elaborate da altri organi internazionali, tra cui il CPT, la Corte ricorda di aver deciso di non considerarle come un argomento determinante al fini del suo apprendimento in relazione all'articolo 3 (vedere, per esempio, omissis, citato, 5 131, omissis e altri, citato, 55 144-145, - omissis - e altri’, citato, 55 68 e 76, oltre che -omissis - , citato, 5 43,
- omissis - c. Italie (déc.), n° 15434/11, 5 53, 5 mars 2013, e G.C. c. Italie, n° 73869/10, 5 81, 22 avril 2014).
Si tratta comunque di norme nazionali applicabili nella materia: esse possono illuminare la decisione della Corte in un caso specifico (omissis, citato, 5 123), ma non rivestire un carattere determinante per le sue conclusioni sul terreno dell'articolo 3 (vedere, per esempio, omissis, citato, 5 59, e -omissis- e altri, citato, 5 229).
112. La principale ragione della riluttanza della Corte a considerare le norme del CPT in materia di spazio disponibile come determinanti per la sua conclusione sul terreno dell'articolo 3 attengono al fatto che nel quadro del suo apprezzamento a proposito di questa disposizione, essa deve tener conto di tutte le circostanze pertinenti alla causa, mentre gli altri organi intemazionall quali il CPT elaborano nonne generali in questa materia a fini di prevenzione dei cattivi trattamenti (paragrafo 47 precedente, vedere altresì omissis - , citato, 5 92, e omissis - citato, 5 63). Nello stesso tempo, le norme nazionali relative allo spazio personale variano grandemente e costituiscono esigenze generali in materia di alloggiamento adeguato in un dato sistema penitenziario (paragrafi 57 e 61 precedenti).
113. Di più, la Corte gioca un ruolo concettualmente differente da quello affidato al CPT, come esso stesso ha rlconosciuto. Il CPT non ha come compito di dire se dei fatti determinati sono costitutivi dl pene o di trattamento inumano o degradante ai sensi dell'articolo 3 (paragrafo 52 precedente). Esso agisce prevalentemente a monte a scopo di prevenzione, che tende per sua stessa natura verso un grado di protezione più elevato rispetto a quello che applica la Corte allorquando statulsce sulle condizioni di detenzione di un richiedente (vedere paragrafi 47 e S1). Il CP'l' gioca un ruolo preventivo, mentre la Corte è incaricata di applicare giudiziarlamente a casi individuali il divieto assoluto di torture di trattamenti inumani o degradanti posti dall'articolo 3 della Convenzione (paragrafo 46 precedente). La Corte tiene comunque a sottolineare che essa rimane attenta alle norme elaborate dal CPT e che, nonostante questa differenza di funzioni, essa esamina con cura i casi in cui le condizioni di detenzione non rispettano la norma di 4 m1 da esso fissate (paragrafo 106 precedente).
114. Infine, la Corte giudica Importante spiegare precisamente il metodo che essa applica ai fini del suo esame sotto l'angolo dell'articolo 3 per calcolare la superficie minima di spazio personale che deve essere assegnato a un detenuto alloggiato in cella collettiva. Essa considera, adeguandosi in questo al metodo del CP'l’, che in questo calcolo, la superficie totale della cellula non deve comprendere quella dei sanitari (paragrafo 51 precedente). AI contrario, il calcolo della superficie disponibile nella cella deve includere lo spazio occupato dai mobili. L'importante è determinare se i detenuti hanno la possibilità dl muoversi normalmente nella cella (vedere per esempio – omissis - e altri, citato, 55 147-148, e – omissis -, citato, 5 34).

4.4 La indicazione funzionale dello spazio minimo individuale come spazio destinato al movimento è tale da comportare, ad avviso del Collegio, la necessità di escludere dal computo quelle superfici occupate da strutture tendenzialmente fisse - tra cui il letto - mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili.

5. Alla luce delle precisazioni fornite, la decisione qui impugnata muove da un erroneo presupposto in tema di modalità di computo dello spazio minimo individuale in cella collettiva.
Specie in rapporto al secondo periodo di detenzione dello – omissis - Io scorporo della quota riferita al letto potrebbe dunque determinare in concreto la esistenza di una offerta inferiore ai tre metri quadri. Ciò, in rapporto all'attuale assetto interpretativo fornito dalla CEDU (assetto che il giudice interno ha l'obbligo di ritenere un dato integrativo dei precetto, stante la formulazione testuale dell'art. 35 ter) non determina di per sè una violazione dell'art. 3 Conv. Eur. ma una forte presunzione di trattamento inumano o degradante, superabile solo attraverso l'esame congiunto e analitico delle complessive condizioni detentive e della durata di tale restrizione dello spazio minimo.

Il provvedimento impugnato, per le ragioni sinora esposte, va pertanto annullato con rinvio dovendosi procedere a nuova fissazione dello spazio minimo individuale e, lì dove si versi in ipotesi di spazio inferiore ai tre metri quadrati dovendosi compiere un esame globale e analitico dei parametri compensativi prima evidenziati.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Perugia. Così deciso il 9 settembre 2016

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